Il Monte Cimone nel Parco del Frignano, tra natura e deturpazione del territorio.


Va detto subito, anche se credo sia noto ai più, che il Monte Cimone è una delle vette più deturpate del nostro Appennino, se ne parlerà più avanti, ma che nonostante questo è certamente da visitare. Non fosse altro che è pur sempre la cima più alta del comprensorio appenninico Tosco-Emiliano e perché è inserita all’interno di un parco, quello del Frignano, di indubbia bellezza paesaggistica e culturale. Siamo nella provincia di Modena, in quello stretto spicchio di terra, che dalla pianura Padana si spinge verso gli Appennini convergendo appunto nelle Cime del Cimone e dell’Abetone. A Modena si lascia l’autostrada al casello Sud e si percorre la SS12 verso Pavullo, cuore del Frignano; da Pavullo è facile addentrarsi nel territorio seguendo le indicazioni dell’Abetone, e successivamente, quando ci si inoltra ancora, quelle di Fiumalbo, incantevole paese di montagna, punto di riferimento per la logistica di questa escursione; il territorio è solcato da profondi canyon scavati dai fiumi che regalano belle viste, anche vertiginose, durante il viaggio di avvicinamento. Arrivare al Cimone prendendolo dal Frignano, da Fiumalbo per la precisione, che si trova alle sue pendici, è una lunga passeggiata, priva di difficoltà, tranne nella parte sotto la vetta dove qualche passaggino su roccia ed una pendenza un po’ più accentuata, mettono del sale all’escursione (percorrendo interamente da Pian Cavallaro l’evidente cresta i passaggi rocciosi si possono anche evitare). Raggiunto il centro abitato di Fiumalbo, lo si deve attraversare; si abbandona quindi la strada per l’Abetone e si scende al centro del paese che dalla strada è ben visibile nella valle sottostante. L’inizio del sentiero è in località Doccia, non ci sono cartelli che vi possono aiutare nell’individuare la direzione; oltrepassato il ponte sul fiume e raggiunta la prima piazza di Fiumalbo si gira a destra e subito dopo a sinistra prendendo un breve tunnel. E’ possibile trovare indicazioni turistiche per la Capanna dei Celti, un grande e bel rifugio che sta proprio alla base di partenza dell’escursione. Da Fiumalbo, oltrepassato il tunnel si segue la strada per una quindicina di minuti, in qualche tratto tortuosa, fino ad un evidentissimo ampio parcheggio dove si può fermare l’auto; il rifugio è a poche centinaia di metri sopra, sulla strada che si prende a destra dal parcheggio. Dal piazzale si prende per circa quattrocento metri la strada asfaltata continuando in salita e prima delle poche case che formano il centro dell’agglomerato urbano di Doccia, su una leggera curva, a destra, inizia un un ampio sentiero; sull’intersezione tra sentiero e strada, accanto ad un grosso pioppo, un cartello di divieto di accesso, efficace ma indubbiamente vistoso ed ingombrante, ed una segnaletica che riporta “Sentiero 93 – I faggi secolari”, rendono impossibile dubitare che si è all’inizio del sentiero per il Cimone. Siamo intorno ai 1350 mt di altezza; davanti ci sono poco più di 800 metri di dislivello e circa 6 chilometri da percorrere prima di venire sommersi dalle antenne della vetta del Cimone. Ad ampie svolte, il sentiero, mai eccessivamente ripido, sale sul versante dell’Alpicella del Cimone, fino a giungere in un pianoro che già domina la valle sottostante e dove sono molto diffuse delle costruzioni rurali di chiara origine celtica. Questo lembo di Appennino intorno al IV secolo subì una pacifica invasione di popolazioni celtiche dal Nord Europa, che trovarono nella valle presso Fiumalbo e nelle montagne circostanti un habitat favorevole; le costruzioni che incontriamo lungo il sentiero sono oggi abitazioni probabilmente utilizzate nel periodo estivo, ma derivano dalle antiche capanne celtiche; di forma rettangolare, le facciate sono triangolari e portano sulla parte superiore una serie di gradoni fino al culmine del tetto; questo è formato da lastre di ardesia, allora era formato da paglia ed i gradoni delle facciate venivano probabilmente usati per le frequenti e necessarie manutenzioni. Di certo sorprende trovarle lungo il percorso, richiamano davvero suggestioni nordiche di estrema essenzialità e contribuiscono non poco a dare ulteriore fascino all’escursione. Superato il pianoro delle capanne celtiche il sentiero si fa ingombro di neve ma la stessa è ben assestata e si procede bene; più che sentiero si dovrebbe parlare di carrareccia sufficientemente larga da essere percorsa da una 4x4, tanto è ampio. Dopo le prime svolte la boscaglia si infittisce e viene sostituita da un fitto e misto bosco formato in prevalenza da faggi ed abeti; dopo circa un’ora dalla partenza il sentiero incrocia sulla sinistra quello distinto dal n° 487, provenienza Fiumalbo; non lo prendiamo e viriamo decisamente ad est. Il bosco di abeti è decisamente fitto, l’ombra è di un buio insistente, a tratti si riesce a vedere la cima del Cimone che ormai è di fronte a noi. Da qui in avanti il sentiero è un lungo traverso fino ad uscire dal bosco, da dove si gode di una superba visuale sulla valle sottostante, sul paese di Fiumalbo e sull’Abetone che ora è di fronte a noi; lontano, innevato e confuso nella foschia spicca la mole del Cusna. Anche la vetta del Cimone è ormai a vista, vicina, dominata da una enorme costruzione; certo la vista non è altrettanto superba. Usciti dal bosco un paio di ampi tornanti fanno guadagnare quota fino ai Piani di Cavallaro, una ampissima sella a quota 1817 metri (attraverso i pratoni, in linea più o meno retta verso la vetta ormai dominante e sinistramente sempre più incombente , i tornanti si possono tagliare in scioltezza). I piani assolatissimi presentano molte chiazze erbose, qualche piccolo laghetto di fusione ed i tanti sentieri che lo attraversano sono testimoniati dalle tante segnaletiche che ci sono disseminate. Non riusciamo a distinguerli ma ormai si viaggia a vista; ci si dirige verso le antenne del Cimone, per una ampio vallone che raggiunge la prima delle creste che convergo trasversalmente sull’ultima di attacco al monte. La neve non affonda, saliamo agevolmente fino alla cresta che ora volge a sud; la pendenza si attenua fino a raggiungere un pianoro contraddistinto da interessanti formazioni rocciose, da avvallamenti e successive risalite. Con Marina che mi segue vicinissima abbiamo solo un dubbio; seguire le pendenze naturali fino ad intercettare la cresta sommitale o superare uno sbalzo roccioso che abbiamo davanti, privo di neve e che ci permetterebbe di intercettare la cresta sopra il tratto più ripido? A dire il vero non so se è stata una decisione concordata, ma il fatto che fossimo privi di ramponi mi ha fatto decidere per quel po’ di arrampicata che ha movimentato la salita. Nulla di difficoltoso, un salto ripido ma formato da rocce sicure e quasi mai esposte, ci ha permesso di intercettare l’ultimo tratto della cresta, a 70 metri dall’obbrobriosa mole del primo dei tanti edifici di vetta. L’ultimo tratto di cresta è sottile e abbastanza ripido da sollecitare la massima attenzione; la neve permette di conficcarci lo scarpone e formare un bel gradino, Marina mi segue sicura anche se il salto verso ovest fa sentire il vuoto incombente e il lungo scivolo ad est precipitai con una pendenza che non consentirebbe arresti ; l’affanno della salita fa il resto e quando la pendenza inizia ad affievolirsi la sensazione leggera di essere quasi fuori da quella situazione da un sottile piacere. L’edificio che abbiamo ora di fronte ci taglia la strada verso la vetta; superarlo a destra è pericoloso, leggeri strati di neve ghiacciata e passaggi minimi troppo esposti nel vuoto sottostante ci fanno preferire un aggiramento ad est, dove i venti hanno ammucchiato neve sulle pareti dell’edificio accentuando il già ripido versante. Lentamente, con cautela, scavando tracce sicure nella neve oltrepassiamo l’ultimo tratto che ci separa dalla vetta; un’ulteriore salto di pochi metri dove affondiamo fino al ginocchio ci separa dalla Madonna scultorea di vetta e dal cippo commemorativo. Non c’è la solita felicità che si prova quando si arriva in vetta; attorno, verso sud-est, sulla cresta una decina di edifici, ancora più antenne, invadono senza interruzione la parte sommitale del monte. Piste da sci sul versante est, un osservatorio, una stazione meteo ed una base militare presidiata; cartelli di divieto d’accesso ti ricordano che devi starci alla larga; fanno presto a convincerti, non c’è luogo più brutto e desolante in tutti gli Appennini! Solo il tempo di passarci sotto, di scivolare via verso la sella sottostante, verso Sud e verso il vicino Cimoncino che si raggiunge in una ventina di minuti, affogati nella neve che qui si fa bagnatissima e che qua e là si confonde in laghetti effimeri di fusione. Un ulteriore punto per la collezione dei 2000 è assicurato, con poca fatica e zero soddisfazione; dal Cimoncino la vista è finalmente ariosa, sa di nuovo di montagna ma devi tenere lo sguardo stretto in un breve orizzonte. Piste da sci e impianti militari si fanno sentire, anche se non li vedi li senti; nulla può più trattenerti lassù in cima. Indietro ripercorrendo le stesse orme dell’andata, ci si trova di nuovo in mezzo al presidio militare; desideriamo solo scappare proprio mentre le nuvole danno alla giornata un tono uggioso. Due foto in vetta, nei pressi del cippo, attenti a non inquadrare obbrobri e subito riprendiamo la discesa. Fuori dall’ultimo edificio, per la stessa via dell’andata inizia subito la cresta, ci sembra più sottile e più ripida che all’andata. Guardinghi procediamo affondando gli scarponi, cosa che ci fa sentire sicuri, ma soprattutto dimentichiamo subito le brutture della cima e ci abbandoniamo finalmente in quelle belle sensazioni l’alta montagna sa darti. La seguiamo interamente la cresta, senza deviare verso il tratto roccioso dell’andata; il tratto più in basso è ancora più ripido e anche se si sta facendo più freddo, il sole è sparito e qualche sparuto fiocco di neve inizia a cadere questo spicchio di montagna, finalmente, ci appaga. Raggiungiamo Pian Cavallaro e ritroviamo le nostre tracce dell’andata; ritagliamo di nuovo i tornanti, la valle si è incupita e temiamo pioggia a breve. Nel lungo traverso prima di riguadagnare il bosco, guardando giù, verso valle, all’interno del bosco mi viene voglia di improvvisare. Il bosco non è fitto, è colmo di neve e in forte pendenza; scendere potrebbe essere, oltre che divertente anche molto “risparmioso” in ordine di tempo. Marina sorride di questa proposta stile Aria Sottile, forse non ci è abituata, ma si fida e mi segue; semplicemente, suggestivo, divertente e veloce è stato ciò che è venuto poi. Serpentine tra gli alberi a cercare traiettorie migliori, ruscelli gonfi di acque di scolo, ogni tanto siamo, soprattutto io a causa del maggior peso, sprofondati nella neve fino alle anche; fino ad intercettare la strada poco sopra il pianoro delle capanne celtiche. Una volata fino all’auto, dove arriviamo intorno alle 15 e 30. Che dire della montagna più deturpata del mondo? Tocca la vetta e scappa, il resto è come sempre montagna e la montagna non delude mai. Alla descrizione dell’escursione c’è da aggiungere solo una nota turistica; non lasciatevi sfuggire una visita di Fiumalbo. Ma prendetevi il tempo, se necessario aggiungete un giorno defaticante solo per questo. Fiumalbo è un’incantevole paese con più di 1000 anni di storia; sorge sugli 800 metri di altezza incassato nella valle tra l’Abetone ed il Cimone, e la parte antica, per lo più con caratteristiche medioevali è circondato da due meravigliosi torrenti di carattere squisitamente montano, il Rio Le Motte e il Rio dell’Acquicciola, che verso ovest confluiscono, delimitando il paese, dando vita al fiume Scoltenna che ancora più ad Ovest ha scolpito il territorio fino alla confluenza col Panaro. Dimenticate lo scorrere del tempo sui lungo fiume di Fiumalbo, nelle viuzze del paese; lasciate che il fascino della vita lenta dei paesani vi attragga mentre mangiate seduti in piazza in uno dei pochi bar aperti gustando i prodotti tipici del modenese e lasciandovi incantare dal lambrusco DOC di questa terra. Una vera sorpresa Fiumalbo, credetemi. Il paese è ricco di possibilità di pernotto, visti i numerosi impianti sciistici in zona ed il grande fascino che il paese deve avere nel periodo estivo, ma credo che una segnalazione la meriti l’agriturismo “Il Cerro” che mi ha ospitato. Una struttura fuori dal paese, persa nei boschi anche se a pochi minuti di auto dal paese offre quanto di meglio si possa chiedere per una vacanza di assoluto relax. Stanze confortevoli e ben arredate dove nulla manca compresa una doccia potente e sempre calda che ho particolarmente apprezzato al ritorno dall’escursione, un silenzio assoluto che ha reso la notte delle più piacevoli che abbia passato ed una cucina degna della migliore tradizione italiana ed emiliana in particolare. Tutti i cibi sono fatti in casa e tutti i prodotti hanno origine dalla produzione propria dell’agriturismo; pasta, carne, marmellate, biscotti, vino, lasciatevi andare nella calda accoglienza della trattoria conosciuta in tutto il territorio. E poi non mi venite a dire che non vi penso!!